Relazione di Massimo Ronchetti

Inizia tutto con la telefonata di Lorenzo a quell’ora insolita, era il 21 settembre e da diverse ore chiunque in Italia aveva l’attenzione sul sisma della notte precedente ad Accumuli, paese sino a quel momento sconosciuto a molti. Il nome del paese ridondava con quelle immagini,cumuli di macerie, pietre antiche che pensi siano eterne ed indistruttibili. Lorenzo ha un timbro di voce insolito e dopo la prime parole capisco che è l’emozione o forse la paura o forse chissà era la mia immaginazione: “Ciao Massimo, sei pronto a partire?” una pausa un po’ più lunga del solito e poi : “emm, si”. Da quel momento il nostro gruppo CIVES sul social network che già era in fibrillazione dalla notte precedente prende sempre più piede, i disponibili a partire subito eravamo io e lui che è il nostro presidente, il rimbalzare di notizie tra noi e l’organizzazione centrale era sempre più frequente e in poco tempo lo zaino le divise e il sacco a pelo erano pronti sul divano.
 Non partimmo, cause di forza maggiore, le nostre famiglie si rasserenarono un po’, ma noi no, quella pulsione che hai dentro quando sai metterti in gioco continuava anche nei giorni seguenti e così i giorni si scandivano tra la solita vita e il pensiero della partenza in aiuto a chi sta soffrendo.
Poi un giorno di nuovo il subbuglio; terremoto, Norcia, centro Italia,Protezione, Civile, sfollati, crolli, morti, feriti, messaggi, social network, notiziari, immagini, dolore, senso di impotenza contro la natura che riaffermava il suo dominio sull’uomo, i messaggi e le telefonate si susseguivano e nel giro di pochi giorni a notte inoltrata ero sotto casa di Gaetano, stavolta i disponibili eravamo noi due, la nostra Panda nera era carica di arancione vivo, divise luccicanti, scarponi, zaini, il viaggio andò via in scioltezza malgrado la distanza, fino ad allora ci eravamo visti solo alle riunioni e in quelle ore pensammo a noi, a conoscerci, nell’autostrada adriatica si vedevano movimenti di volontari e militari di ogni tipo, all’autogrill erano più le persone con le divise che i civili, si sentiva la forza della macchina organizzativa che andava verso i punti sensibili, gruppi di volontari con accenti diversi tutti uniti per lo stesso scopo tutti con la voglia di dare, questo è stato il primo momento in cui ho sentito una forte emozione.
A pochi chilometri dall’arrivo ci confermano la destinazione finale, “Centro Giovanni Paolo II a Loreto”, il giovane collega Infermiere ci viene incontro e attraversiamo il grande piazzale di questa struttura disposta a ferro di cavallo su due piani, dal lato aperto laggiù nella collina di fronte si vede il Santuario della Madonna di Loreto, entriamo nella centrale sanitaria operativa e conosciamo gli altri del gruppo donne e uomini in tutto cinque, iniziano a darci lunghe consegne spiegandoci tutto ciò che di diverso c’era da sapere rispetto alle nostre abitudini ospedaliere, ci dicono: “noi abbiamo fatto tanto, voi potete migliorarlo”. La struttura è un centro estivo, ostello per i giovani e non era quindi attrezzato per ricevere i più di 40 pazienti seguiti al domicilio dalle aziende sanitarie territoriali e con loro i familiari o badanti, il numero degli ospiti quindi raddoppiava; erano tutte famiglie provenienti da Comuni interni all’appennino a diversi chilometri, Tolentino, Caldarola, Sarnano; a Loreto invece i segni del terremoto non si vedevano e l’aria di mare tirava ancora calda dal sud.
Durante il giro delle camere ci fecero conoscere uno ad uno tutti i presenti e con calma ed un sorriso per tutti arrivammo al momento del cambio, una foto di rito tutti insieme ed io e Gaetano iniziavamo la nostra esperienza insieme agli altri nuovi arrivati Manuela, Mimmo, Gianluca e le giovani Martina e Michela. Nel giro di poco eravamo già attivi ognuno piano piano trovava il suo ruolo le cose da fare erano molte e le persone del posto erano tante, iniziammo a conoscere non solo gli sfollati ma Don Paolo che è il Direttore del centro, i volontari che da anni lavorano insieme a lui, tra cui Chiara che ancora oggi è in contatto con noi e Fabrizio che coordinava gli O.S.S., anche loro volontari, ed Enrico il medico e dirigente responsabile dell’ assistenza territoriale locale che giornalmente partecipava alle attività insieme a noi; si sono aggiunti anche Elide, Emiliano, Maurizio della Croce Rossa Italiana, le amicizie si allargano. Si va in mensa si scherza si mangia, si lavora a tutte le ore si conosce il posto le abitudini consolidate da tempo e quelle nate da pochi giorni con i nuovi arrivati, gli sguardi di alcuni anziani non filtravano la paura vissuta, quelli di altri erano sereni e rassicurati dalla nostra presenza, i miei occhi invece a volte luccicavano per una lacrima in più. Eravamo lontani dalle zone terremotate, privilegiati rispetto agli altri volontari distribuiti nel territorio, avevamo una camera con dei letti a castello, bagno, cibo, non ci mancava niente, ogni tanto guardavo dei calcinacci per terra e mi chiedevo se c’era stata una scossa anche da noi nella notte, ma eravamo troppo impegnati per soffermarci sulla paura. Il nostro lavoro infermieristico nei giorni si è affinato sempre più conoscendo meglio i pazienti con le loro problematiche e le loro patologie ma soprattutto le loro abitudini che venivano stravolte a causa di questo improvviso cambiamento, il nostro compito di assisterli nell’umanità, il nostro compito di “prendersi cura della persona” veniva realizzato a pieno, lontano dalla fretta dalle burocrazie degli ospedali dove ognuno di noi lavora e dove ognuno di noi non ha mai tempo per esprimere il meglio di ciò che abbiamo da dare.
In pochi giorni siamo andati oltre la nostra professionalità infermieristica, abbiamo creato un gruppo che ha saputo gestire una situazione difficile sia dal lato organizzativo che, a volte, relazionale. Abbiamo avuto continui briefing dove parlare delle problematiche da affrontare che venivano riviste e risolte, abbiamo avuto momenti conviviali che ci hanno uniti. La presenza sul posto 24 ore su 24 ha fatto dilatare i tempi ed una settimana è diventata più lunga, ma tutto d’un tratto ci siamo ritrovati all’ultima sera del nostro mandato, dove per l’occasione avevamo organizzato una festa, i pazienti ed i parenti che con l’andare dei giorni avevano accettato i nostri consigli di mangiare in mensa insieme, erano quasi tutti presenti. La pizza di Emiliano i canti di Mimmo, il signore con la fisarmonica, il lavoro di tutti i volontari di Don Paolo, i sorrisi e le foto insieme, una bella serata che ha fatto svagare soprattutto chi non sa se rientrerà mai nella propria casa.
E’ la mattina di sabato 12 novembre 2016, i bagagli sono in macchina, arriva il nostro cambio a cui diamo le lunghe consegne e poi andiamo a fare il giro dei saluti, le lacrime e le emozioni sono forti, il magone mi accompagna per tutta la mattina. Mi rendo conto di aver fatto una bella cosa e me ne rendo conto dai loro sguardi, dalle loro parole, una esperienza che ci ha fatto crescere sia dal lato umano che professionaleIl viaggio è lungo e sull’adriatica come all’andata tanti volontari rientrano nelle proprie città, dalle proprie famiglie. Sono sicuro che indipendentemente dal ruolo abbiamo tutti qualche cosa in comune. Saluto Gaetano il mio nuovo amico e torno a casa da mia moglie e la piccola Ambra, pensando a lei spero non le capiti mai una tragedia come quella vissuta da tante persone in quei giorni e sono sicuro che riuscirò a trasmetterle l’importanza di tendere una mano quando qualcuno ha bisogno.
Sono passati due mesi, il gruppo sul social network ci tiene ancora uniti, Martina è ripartita come volontaria ancora qualche giorno in un altro centro, Emiliano è diventato papà, a Michela è finalmente arrivato il cagnolino in adozione, Chiara ci aggiorna sugli ospiti del centro, un saluto ed una foto ogni tanto ci tengono ancora vicini.

Genova Gennaio 2017
Massimo Ronchetti

alcune foto di quelle giornate